“Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi.
L’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare.” Keith Haring
Keith Haring è uno dei maggiori artisti pop di sempre, emblema dell’arte visuale post-pop art. Peccato che Keith non sa di esserlo diventato, morto a soli 31 anni nel 1990.
È stato uno degli esponenti più singolari del graffitismo di frontiera, emergendo dalla scena artistica newyorkese durante il boom del mercato dell’arte degli anni ottanta insieme ad artisti come Jean-Michel Basquiat che condivide con Haring il destino di una morte prematura nel pieno del proprio successo artistico. Entrambi sono state tra le più fertili “scoperte” di Andy Warol.
- Keith con Warol e Dalì
- Keith con Basquiat e …
- … con la pop star Madonna
Tuttavia, nei suoi pochi anni di vita, Keith ha realizzato opere ancora oggi stimate e catalogate nella “graffiti art”, perché lui era solito dipingere i suoi famosi omini sulle pareti.
- Il graffitismo di Basquiat
- Basquiat and Haring
- Basquiat all’opera
Non era semplice arte di strada: i suoi disegni racchiudevano i principi della vita, della morte, della pace e della guerra.
Keith Haring nasce a Reading, in Pensylvania, il 4 maggio 1958 e inizia molto presto a dimostrare una propensione al disegno grazie all’influenza del padre Allen, disegnatore fumettista. Vive in modo ordinario e borghese ed è negli anni ’70 che inizia ad affermare la sua passione per la pittura e la musica rock. Al termine del liceo si iscrive all’Ivy School of Professional Art di Pittsburg per studiare arte commerciale, che però abbandona presto per iniziare a viaggiare in autostop per il paese. Si mantiene con numerosi lavori saltuari e conosce molti altri artisti.
Tornato a Pittsburg si iscrive all’università continuando a dedicarsi all’arte; sempre in questa città nel 1978 esibisce le sue opere per la prima volta al Center for the Arts e nello stesso anno si trasferisce a New York ed entra alla School of Visual Arts, dove elabora numerosi studi utili per i suoi lavori futuri. Così iniziò a realizzare graffiti nell’Underground della metropoli, riscuotendo anche parecchio successo sia tra i giovani newyorkesi, sia tra le caserme delle forze dell’ordine, dove puntualmente finiva a causa dei suoi disegni su muro. Ma questo non lo fa demordere!
Tutti conoscono le sue figure antropomorfe; in effetti la fortuna critica del writer è stata proprio la creazione di esse e del mondo che le circonda: gli omini di Keith Haring, colorati e gioiosi, si abbracciano, si amano e fanno l’amore fondendosi tra loro in un unico essere.
- K. Haring “Andy Mouse”
- K. Haring “Cuore con omini”
- K. Haring “murale”
In fondo non è difficile notare in queste figure la sua visione dell’amore, che non vede differenze di sesso, razza e ogni tipo di barriera.
Il suo linguaggio abbraccia inoltre i geroglifici e le linee geometriche, dando vita ad un’esplosione di energia.
La sua è un’arte di segni, simboli, icone, che per la loro stessa natura veicolano un messaggio chiaro, semplice, immediatamente comprensibile e in un certo senso universale.
I suoi bebè raggianti, gli angeli volteggianti, i cuori di colore rosso vivo e i cani che abbaiano sono della stessa attualità oggi rispetto a venti o trent’anni fa.
- Keith “dentro” un suo murale
- Keith all’opera
- Keith “é” un suo murale
Il suo linguaggio prende in prestito alcuni tra i più suggestivi simboli culturali della nostra epoca (il fungo atomico, la croce, gli schermi tv o dei pc) e, con un gioco di scala, di colore e di materia, li trasforma in oggetti pop della società di consumo, dirottandoli dalla loro significazione culturale e politica originaria: il capitalismo, la religione (nelle sue forme fondamentaliste), i mass media, il razzismo, la minaccia nucleare, l’HIV.
Nel 1981 realizza la sua prima opera murale in una scuola del Lower East Side e da qui nasce per Keith la sua idea di dipingere in luoghi pubblici.
Il suo scopo è rendere la sua arte pubblica, gratuita e accessibile a tutti; così dipinge e disegna ovunque tappezzando ogni angolo della città con la sua innata creatività, in particolare nella metropolitana che diventa il suo laboratorio.
“Io dipingo quadri che rappresentano la mia ricerca. Lascio agli altri il compito di decifrarli, di capirne i simboli e le loro implicazioni. Io sono solo un intermediario.” K.H.
Keith Haring sfrutta vari supporti portando il suo operato anche oltre ai graffiti, oltre la pittura stessa e inizia a produrre delle sculture in acciaio dipinto dalla forme delle sue caratteristiche figure.
Queste vengono esposte alla Leo Castelli Gallery di New York.
Nel 1986 apre il primo Pop Shop, un negozio a Manhattan dove il suo nome diventa un marchio, al fine di rendere ancora più raggiungibile a tutti la sua arte. Qui la gente può acquistare gadget e vedere gratuitamente Keith al lavoro.
“I miei disegni non cercano di imitare la vita, ma cercano di crearla e inventarla.“K.H.
Nel frattempo continua anche a viaggiare per il mondo dipingendo murales e lasciando la sua traccia anche nel muro di Berlino.
- Keith dipinge il muro di Berlino
- K. Haring Murale a Berlino
- K. Haring Murale sul muro di Berlino
In occasione del centenario della Statua della Libertà, appende un enorme telone su una facciata di un edificio (coprendone ben 11 piani), su cui l’artista ha disegnato il profilo della statua. L’interno è stato invece colorato da migliaia di bambini.
Keith ha sempre dimostrato interesse nei confronti dei più piccoli, organizzando azioni di beneficenza ed eventi all’aperto in tutto il mondo. Lui stesso si sente ancora fermo nell’infanzia. Nel corso degli anni diventa grande amico di un altro artista dell’epoca, Andy Warhol, con il quale organizza nella Reggia di Caserta “Terrae Motus“, un’esposizione d’arte a favore dei bambini terremotati dell’Irpinia.
- Haring alla Reggia di Caserta
- Il lancio dell’esposizione “Terrae Motus”
- Haring – Murale per “Terrae Motus”
“I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.“ K.H.
L’anno del 1988 è segnato dalla malattia che stroncherà la vita di Keith Haring. Scopre di esserne affetto di AIDS, ma nemmeno questo lo ferma e, dopo un’iniziale disperazione, l’artista impegna le sue ultime forze nell’arte e nel sociale.
“Nella mia vita ho fatto un sacco di cose, ho guadagnato un sacco di soldi e mi sono divertito molto. Ma ho anche vissuto a New York negli anni del culmine della promiscuità sessuale. Se non prenderò l’AIDS io, non lo prenderà nessuno.” K.H.
Nello stesso anno da origine alla Keith Hharing Foundation, che tutt’oggi supporta i bambini e i malati di HIV, e si dedica alla sua ultima grande opera pubblica (unica in Italia), il murale Tuttomondo: un messaggio di pace e di vita, dipinto su una parete della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa.
Muore il 16 febbraio 1990 all’età di 31 anni, lasciando vivo il suo messaggio che tutt’ora rimane fortemente impresso nell’arte e nella conoscenza di tutto il mondo.
“Se cerco di modellare la mia vita su quella di qualcun altro, finisco per sprecarla riproducendo le cose per puro e vacuo spirito di accettazione.
Ma se vivo la vita a modo mio e faccio in modo che gli altri artisti mi influenzino solo come riferimenti esterni o come punti di partenza, posso costruire una consapevolezza ancora maggiore invece di restarmene qui inattivo.
Se sarò in grado di capire questo e di metterlo in pratica mi sarà d’aiuto, ma ho di nuovo paura …
… Vorrei soltanto essere più sicuro di me e cercare di scordare tutti i miei stupidi preconcetti e le idee sbagliate e limitarmi a vivere. semplicemente vivere.
Finché non morirò.” K.H.